Pur avendo assistito solo alla parte finale del convegno di questo pomeriggio in sala Amphipolis, non posso esimermi dallo scrivere qualcosa a proposito. E poi una promessa è una promessa!
Anche se farei molto meglio a soprassedere… Il cattivo tempo (speriamo) ha tenuto lontano dalla sala molta gente, e di fatto abbiamo presenziato solo noi addetti ai lavori,e pure pochi. Il linguaggio era quello, il pubblico anche, quindi faceva molto seduta di autoanalisi, salvi tocchi sublimi d’involontario umorismo.
Insomma, mi auguro che le relazioni iniziali fossero di ben altra sostanza, ma ho trovato quel poco che ho ascoltato davvero deprimente. E non solo perché mi ha ricordato le discussioni infinite e inconcludenti che foderavano le riunioni politiche a cui mi è toccato partecipare nei miei pochi anni d’impegno attivo – d’altro canto erano le stesse persone a parlare. E nemmeno per la qualità dell’analisi, davvero scadente e riassumibile nei seguenti punti:
- colpa del PD e del voto utile
- colpa del capitalismo
- colpa degli elettori che sono scemi e non capiscono e si fanno abbindolare
- colpa delle televisioni di Berlusconi
dicevo, non per questo, ma soprattutto perché sul “che fare”, siamo ancora al: “ripartiamo tutti insieme, la grande famiglia della sinistra ex-arcobaleno, cha ha fallito, ma non importa, possiamo perdere per altri 40 anni, ma io sono ottimista (!) perché la ragione è con noi, perché siamo noi gli unici che possono rappresentare il disagio dei precari e dei lavoratori, perché noi conosciamo Gramsci. Anzi, sappiate che Gramsci è modernissimo, in sudamerica ancora lo studiano!” (Sileno)
Insomma, il paese va alle cozze, ma, tranquilli, appena queste teste di cazzo di elettori si accorgono che siamo noi ad avere ragione, sistemiamo tutto noi. “Fra quarant’anni”.
Su tutto, con l’unica eccezione del bell’intervento di Natti Patané, e solo in parte di Enrico Consoli, siano di commento queste considerazioni di SuzukiMaruti, la cui lettura è stata decisiva per trovare la voglia di scrivere questo post:
E questo è un po’ il dramma della sinistra e del suo approccio al paese. Continuiamo, noi che di sinistra lo *siamo*, a non capacitarci come il resto del paese possa non esserlo senza sentirsi sporco, in colpa, ecc. E continuiamo a fare una politica in cui il nostro fine reale non è risolvere problemi (o proporre soluzioni per) e su questo conquistare voti, ma è di fatto lavorare affinché la gente si converta e *diventi* di sinistra o centro sinistra o centro centro sinistra.
In verità basta riavvolgere minimamente il nastro per notare come la dimensione identitaria a sinistra sia una priorità assoluta. Democratici di Sinistra, Sinistra Democratica, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, ecc. Lo vedete? L’ossessione di definire un’appartentenza che è a monte, a priori rispetto all’azione politica.
Perché il triste finale è che se la “sinistra” è questa, possiamo farne ampiamente a meno.