Pubblicato su iMille
La questione della candidatura alla presidenza della regione Puglia per il centro sinistra sembra avviata verso la soluzione più ovvia, con l’indizione delle primarie per domenica prossima 24 gennaio.
Si confronterano Nichi Vendola, presidente in carica, e Francesco Boccia, indicato dal segretario regionale del PD Blasi nel corso dell’assemblea regionale odierna del partito. In pratica, tutto come cinque anni fa, almeno apparentemente.
Se i nomi sono gli stessi, infatti, lo scenario è decisamente mutato. Nel 2005, il vento spirava forte in poppa alla coalizione dell’Ulivo, che infatti avrebbe vinto in dodici regioni su quattordici, costruendo le promesse per una vittoria elettorale alle elezioni politiche dell’anno successivo. Cinque anni di governo disegnano oggi un quadro della primavera pugliese difficile da leggere, fatto di tante luci e poche ombre nerissime, la situazione nazionale è quella che è, così alla fine ci si batte per non affondare, per non vedere quel risultato entusiasmante ribaltato nei numeri e nelle prospettive.
La paura, si sa, una cattiva consigliera: le speranze hanno lasciato campo al terrore della disfatta, consegnandoci l’immagine di un partito richiuso in se stesso alla ricerca di un’alchimia politica vincente, piuttosto che di un’idea su cui costruire una campagna elettorale trainante. Si è scelto infatti di dimenticare cinque anni di governo regionale per cambiare improvvisamente registro, come se il Pd in questa esperienza di governo fosse stato un semplice osservatore.
Una scelta sicuramente legittima e non priva di pragmatico buon senso, ma solo se vista da molto lontano – da Roma, “disciamo”.
Davvero ci si può stupire che Vendola, e anche pezzi importanti del PD, non vogliano semplicemente farsi da parte e lasciare il campo ad un nuovo progetto politico fatto di calcoli e di alleanze studiate a tavolino? Chi nella primavera pugliese si è speso senza sosta per cinque anni, ci ha messo la faccia, ha fatto l’assessore, il consigliere regionale, o magari ci ha semplicemente creduto, può davvero far passare tutto in cavalleria senza nemmeno lo straccio di un giudizio che non sia semplicemente “con l’UDC si vince?”
Quello che fino ad oggi appariva un contrasto insanabile può essere rappresentato in vari modi: uno scontro fra il solido pragmatismo bersaniano e l’idealismo perdente vendoliano e comunista, oppure una lotta senza quartiere fra poteri forti, oppure, ed è il mio misero punto di vista, semplicemente due diverse visioni del futuro del centro-sinistra, entrambe perfettamente legittime.
Quello che però resta inaccettabile è l’approssimazione con cui certi processi politici vengono letti e gestiti dal nostro attuale gruppo dirigente. Ci ritroviamo dopo quasi due mesi al punto di partenza, con l’unica via d’uscita costituita dalle primarie, e con il rischio inalterato che l’UDC non sia della partita. Non sarebbe stato molto
più saggio e lungimirante scegliere due mesi fa?
Le primarie sarebbero state comunque un rischio, ma avremmo avuto molto più tempo per ricucire un eventuale strappo con i “centristi”, oppure avremmo potuto lanciare col dovuto coraggio un nuovo progetto politico, fatto di tanti alleati e un nuovo avversario, lo stesso Vendola.
Scegliere è difficile, e soprattutto servono dirigenti capaci di farlo, così si è finito per traccheggiare: prima si è chiesto a Vendola di fare un passo indietro, poi si è candidato il non-candidabile, poi si sononegate le primarie, poi alla fine le si indicono – senza contare il divertente intermezzo del mandato esplorativo al candidato, una primizia assoluta, o la tragicomica leggina ad-personam.
Possibile far peggio?